Per comprendere quale fosse l'importanza del misurare nell'età classica
possiamo benissimo prendere come riferimento la civiltà romana. In un epoca in
cui non è ancora nata una vera e propria tradizione di arti e mestieri, in cui
la progettazione si realizza solo nell'ambito della architettura, il misurare
esiste e trova senso solo nell'efficiente amministrazione romana e laddove
dettato dall'esigenza pratica quotidiana.
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Roma si prodigò di collegare in una fitta rete stradale le città alla
capitale per favorire il commercio, gli spostamenti militari, la costruzione
di acquedotti, il servizio postale. Le pietre miliari
indicavano ai viaggiatori ad intervalli più o meno regolari qual'era la
distanza dal cuore pulsante dell'Impero, Roma, o nelle aree più remote, dalla
città principale. Ancora oggi sul bordo della carreggiata è indicata la
distanza effettiva dall'inizio della strada in cifre arabe per i kilometri e
romane per i multipli dei cento metri.
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Al di là di quanto avviene nell'amministrazione, la progettazione e la
misurazione nell'epoca classica sono aestimatio, si basano sulla
geometria piuttosto che sull'aritmetica, sono solo previsioni da verificare
nella messa a punto dell'opera, e laddove esistono sono arti che trovano poco
spazio nella letteratura tecnica, a prendere la forma di una tacit
knowledge.
Un raro esempio di spirito ingegneristico moderno è quello di Sesto Giulio
Frontino, curatore delle acque attento alla res publica. Nel De
aquaeductu urbis Romae (I secolo dC), Frontino documenta l'indeguatezza
del sistema idrico della capitale, che risente di troppi sprechi,
irregolarità, disomogeneità. Pur conoscio delle difficoltà che la speculazione
matematica ha nell'approcciarsi con l'achitettura nella sua epoca, Frontino
intraprende personalmente un'opera di normazione dei moduli idrici, misurando e
correggendo la portata di ognuno di essi, fino a contenere gli sprechi entro
limiti accettabili.
Per approfondire:
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