Per comprendere quale fosse l'importanza del misurare nell'età classica
possiamo benissimo prendere come riferimento la civiltà romana. In un epoca in
cui non è ancora nata una vera e propria tradizione di arti e mestieri, in cui
la progettazione si realizza solo nell'ambito della architettura, il misurare
esiste e trova senso solo nell'efficiente amministrazione romana e laddove
dettato dall'esigenza pratica quotidiana.
In primo luogo è fondamentale la scansione dei momenti della giornata e
le meridiane,
basate sullo gnomone, non mancano in nessun centro civico. Diversi trattati,
tra cui il De limitibus constituendis di Igino
Gromatico o il De Architectura di Vitruvio, illustrano metodi
per tracciare gli analemmi (i "quadranti" delle meridiane). Più raramente,
nelle città più popolose e dedite al commercio, specie nell'area della Magna
Grecia, si trovano esemplari di orologi ad acqua, che
Vitruvio racconta nel libro IX del De Architectura essere noti a
tutti.
Le alte conoscenze di astronomia, che i
romani acquisirono anche nei contatti con l'Oriente greco e asiatico, fecero
intendere la necessità di riformare il calendario noto nel calendario
giuliano, elaborato dall'astronomo greco Sosigene di Alessandria e promulgato da Giulio Cesare, che
correggesse lo scarto tra anno tropico e anno legale introducendo l'anno
bisestile ogni quattro anni.
Roma si prodigò di collegare in una fitta rete stradale le città alla
capitale per favorire il commercio, gli spostamenti militari, la costruzione
di acquedotti, il servizio postale. Le pietre miliari
indicavano ai viaggiatori ad intervalli più o meno regolari qual'era la
distanza dal cuore pulsante dell'Impero, Roma, o nelle aree più remote, dalla
città principale. Ancora oggi sul bordo della carreggiata è indicata la
distanza effettiva dall'inizio della strada in cifre arabe per i kilometri e
romane per i multipli dei cento metri.
Nell'efficiente burocrazia, nelle nascenti scienze della
geografia e dell'agrimensura, nella necessità di censire la popolazione e
possedimenti, la catalogazione delle terre diviene di fondamentale importanza.
L'unità fondamentale delle lunghezze è il pes (29,7 cm), che ha
per sottomultipli binari sono il palmus (1/4) e il digitus
(1/16) e per multipli più utilizzati il passus (5) e l'actus
(120). Le unità di superficie si basano invece sull'actus
quadratus (1265 m²) che è considerata l'estensione arabile da una coppia
di buoi in mezza giornata; 4 actis quadrati formano un
heredium, l'estensione assegnata ad ogni proprietario dallo stato, e
100 heredia, o 400 actis quadrati, formano la centuria,
l'unità fondamentale nella geografia. Con la zelante opera di
standardizzazione che i romani applicavano nelle terre conquistate, nonstante
l'enorme estensione raggiunta dall'Impero, le unità di misura risultavano
dappertutto omogenee. Nella sua opera, Vitruvio descrive la costruzione di un
odometro.
Al di là di quanto avviene nell'amministrazione, la progettazione e la
misurazione nell'epoca classica sono aestimatio, si basano sulla
geometria piuttosto che sull'aritmetica, sono solo previsioni da verificare
nella messa a punto dell'opera, e laddove esistono sono arti che trovano poco
spazio nella letteratura tecnica, a prendere la forma di una tacit
knowledge.
Un raro esempio di spirito ingegneristico moderno è quello di Sesto Giulio
Frontino, curatore delle acque attento alla res publica. Nel De
aquaeductu urbis Romae (I secolo dC), Frontino documenta l'indeguatezza
del sistema idrico della capitale, che risente di troppi sprechi,
irregolarità, disomogeneità. Pur conoscio delle difficoltà che la speculazione
matematica ha nell'approcciarsi con l'achitettura nella sua epoca, Frontino
intraprende personalmente un'opera di normazione dei moduli idrici, misurando e
correggendo la portata di ognuno di essi, fino a contenere gli sprechi entro
limiti accettabili.
Per approfondire:
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